Donne che combattono foto e video virali

2022-10-09 01:27:06 By : Ms. Yeli wang

Un documentario segue la vita di tre donne in un mondo fatto di piastre d’acciaio, cotte di maglia e spade scintillanti.

Stando alle trame mitiche e letterarie che abbiamo ereditato dal passato, le eroine sono sempre state donne sofferenti, al centro di opere che raccontano di situazioni domestiche intollerabili e storie inquietanti che espongono la loro vulnerabilità. Le eroine che combattono armate, sole o alla guida di un gruppo di seguaci, sono ancora più rare da rintracciare, sono eccezioni femminili - principalmente storiche o leggendarie - che, più di ogni altra cosa, dimostrano che di regola il combattimento è dominio degli uomini. Ci sono state Giovanna d'Arco che blocca l'assedio inglese di Orleans, la guerriera Scáthach che addestra l'eroe irlandese Cú Chulainn nell'arte del combattimento, la bella vedova Giuditta di tradizione biblica che decapita l'invasore assiro Oloferne. E poi ci sono state le Amazzoni, armate con l’arco, eppure queste donne caste (fluide oltre che virginali, spesso descritte con un singolo seno) ci ricordano come il comportamento eroico sia prevalentemente nel DNA maschile. Si percepisce qualcosa di innaturale in loro, perché queste donne leggendarie, a differenza delle loro controparti maschili, hanno un tocco di ultraterreno o grottesco e, in un certo senso, rappresentano una perversione del femminile usurpando il potere dell'eroico. Lo stesso senso di eccezionalità alla regola scorre non detto nelle scene di Steel Song (2021) di Adrian Cicerone, un documentario che segue intimamente la vita di tre donne negli Stati Uniti che dedicano il loro tempo libero ad una disciplina estrema, violenta e faticosa: il combattimento medievale, uno sport tradizionalmente europeo arrivato in America grazie ad alcuni hobbisti LARP, i live action role-playing games, ovvero i giochi di ruolo dal vivo. Per chi non li vede di buon occhio è solo wrestling in costume, per altri MMA in stile rinascimentale, ma il suono fragoroso del metallo su metallo e il rosso vivido del sangue che affiora dalle ferite non mentono, è uno sport brutale, aggressivo, che richiede passione oltre che determinazione, ore e ore di allenamento e un’attrezzatura molto costosa.

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Inizia come un’evasione, come si fa con qualunque hobby, ma per le donne il combattimento in armatura diventa presto un rifugio. Julee è una delle madri del gruppo, sopravvissuta ad abusi domestici, che affronta il suo passato duellando con l'amore e il sostegno della sua famiglia, anche se talvolta per il bene dei figli deve rinunciare a malincuore a qualche torneo. Shoshana, capelli da fata e voce gentile, ha passato la sua vita in uniforme, nell’esercito e nella Guardia Nazionale, e ora è una veterana che si allena instancabilmente per guadagnarsi un posto nella squadra americana e vincere i campionati mondiali, ossessionata dall’idea di mettersi costantemente alla prova. La terza prospettiva del documentario è quella di Bridgette, scrittrice con la sindrome di Asperger che soffre precocemente di tremori, che dedica tutto il suo tempo alla lotta in armatura per far tacere le sue incertezze, tarlo fisso nella sua mente, e spiega: “Faccio questo sport perché dà un senso alla mia vita. E mi sento come se non stessi solo dimostrando a me stessa che non solo sono degna di essere sul campo con queste donne fantastiche, ma che valgo qualcosa, valgo più di quello che le altre persone sembrano pensare quando mi guardano”.

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Non è un mondo perfetto per le donne nello sport del combattimento corazzato. La sfida principale, prima ancora dell’accettazione nel gruppo, è ottenere un'armatura adatta poiché la maggior parte delle armature che si trovano sul mercato, già di nicchia, sono adatte per il corpo maschile e non per quello femminile: le spalle sono troppo larghe, i fianchi troppo stretti e le placche toraciche che si adattano alla figura di una donna tendono ad allontanare la protezione dalle spalle. Un altro ostacolo da superare è il pregiudizio delle persone, che talvolta vogliono dissuadere le donne dal partecipare perché è troppo pericoloso o, nel peggiore dei casi, accusano le donne di dedicarsi a uno sport così sanguinolento solo per trovarsi un fidanzato. E poi la sfida più grande, la mancanza di altre donne combattenti, che le costringe spesso a misurasi contro molti più uomini nei tornei, riducendo le possibilità di vincere. Il documentario illustra non solo come questo passatempo maschile sia diventato per le donne una terapia per affrontare il proprio passato e come abbiano inaspettatamente trovano speranza, famiglia e forza nel combattimento corazzato medievale, ma anche la bellezza della lotta stessa, pura e lenta nei gesti, elegante nei costumi fatti di piastre d’acciaio e cotte di maglia. Mentre cala la notte a Colorado Springs si vedono due combattenti, vestite con un'armatura del XV secolo, che si attaccano a vicenda in un'arena all'aperto. Le armi contundenti d'acciaio risuonano ad ogni colpo e dopo alcuni estenuanti minuti il round viene interrotto. Esauste, entrambe le donne gettano le asce, si tolgono l'elmo e si abbracciano calorosamente.

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