Elisabetta. 70 anni da Regina - la Repubblica

2022-06-04 01:48:12 By : Ms. Nancy Wang

Tema del settimo numero di Storie di Storia, la newsletter de La Repubblica è Sua Maestà Elisabetta II, Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e dei Reami del Commonwealth, protagonista accanto a più di cinquanta sovrani e una decina di dinastie di un’epica storia lunga quasi 1.200 anni. Il 6 febbraio di quest’anno, la sovrana più longeva della storia della Corona britannica, un simbolo entrato nell’immaginario collettivo, ha raggiunto i 70 anni di regno e in questa prima settimana di giugno 2022 tutti i suoi sudditi sono pronti a festeggiarla nel Giubileo di Platino. Buona lettura.

Nel sole e nella tempesta sarai Regina

È appena uscita in Regno Unito e in Italia, per i tipi di Rizzoli, The Queen, biografia su Elisabetta II scritta da Andrew Morton, uno dei più conosciuti biografi di famiglie reali e una vera e propria autorità in materia di celebrità e teste coronate. Nel 1992 la sua sensazionale biografia “Diana. La vera storia” - scritta con la stretta collaborazione della principessa del Galles - ne rivelò per la prima volta la vita segreta e tormentata. Il libro restò per 58 settimane nella lista dei bestseller inglesi, fu tradotto in 35 lingue e ispirò film, documentari e dibattiti sulla Royal Family. Da allora, Morton ha conquistato il primo posto fra i bestseller del “Sunday Times”. Vincitore di numerosi premi, attualmente vive tra Londra e Los Angeles. Storie di Storia, per gentile concessione dell’editore, pubblica un estratto del suo libro, che descrive il giorno dell’incoronazione avvenuto nell’Abbazia di Westminster, a Londra, il 2 giugno del 1953.

Canti patriottici si levarono spontaneamente tra la folla che si era raccolta intorno a Buckingham Palace mentre aspettava con trepidazione, sotto il freddo e la pioggia, di dare un’occhiata alla nuova regina. C’era la diffusa sensazione che il nuovo regno avrebbe inaugurato una nuova era elisabettiana di dinamismo, abbondanza e speranza. E a tutto il resto si aggiunge l’Everest, titolò la prima pagina del «Daily Express», dopo che uno scalatore britannico e uno nepalese avevano conquistato la montagna più alta del mondo in tempo per il grande giorno. La nuova regina colse l’atmosfera. A un pranzo con i leader del Commonwealth alla vigilia dell’incoronazione, apparve esultante e trionfante. Più tardi ebbe a confidare: «La cosa straordinaria è che non mi sento più ansiosa o preoccupata. Non so cosa sia successo, ma ho perso ogni timidezza». Quando ormai il grande giorno incombeva, lei continuava a essere di buonumore. Una dama di compagnia le chiese se si sentiva nervosa e lei rispose con un’espressione serissima: «Certo che lo sono, ma penso davvero che Aureole vincerà» riferendosi al suo cavallo che avrebbe corso nel Derby di Epsom il sabato successivo. La regina era serena e composta mentre lei e il principe Filippo viaggiavano nell’opulenta ma scomoda carrozza Gold State per il breve tragitto – che lei poi avrebbe ricordato come «orribile» – verso l’abbazia di Westminster. Prima di fare il suo grande ingresso, la regina, con un grande sorriso sul volto, si rivolse alle damigelle d’onore chiedendo: «Pronte, ragazze?». Poi si incamminò, senza mai voltarsi indietro, pronta per la cerimonia di incoronazione che l’avrebbe consacrata regina e che sarebbe durata quasi tre ore. Era la trentottesima incoronazione che si teneva nell’abbazia di Westminster, e mentre l’arcano rituale riusciva ancora a trasmettere un’aura di magia e di autorevolezza, la giovinezza e la femminilità della regina promettevano un nuovo inizio, oltre che un requiem per il vecchio ordine aristocratico. «È la cosa più solenne che sia mai accaduta nella sua vita» osservò più tardi il canonico John Andrew. «Non può abdicare. Rimarrà al suo posto fino alla morte.» Il suo pensiero si fondava sul solenne giuramento che Elisabetta aveva prestato non solo davanti alla nazione ma anche davanti a Dio. Era un voto con una forte sfumatura religiosa, simile a quello di una suora. Il giornalista preferito della famiglia reale, Dermot Morrah, osservò che «il senso di esultanza spirituale che si irradiava da lei era tangibile». Quando la corona di sant’Edoardo calò sulla sua testa – nel verso giusto questa volta – la regina sentì il peso della monarchia su di sé. Ma tenne duro, e da allora la corona è rimasta saldamente al suo posto. La lunga parata in carrozza per tornare a Buckingham Palace, circondata da una folla esultante, fu tanto commovente e profonda quanto la cerimonia intima. «Il rumore della folla raggiunse livelli altissimi, era così forte che pareva che l’intera nazione stesse partecipando a un’unica grande e prolungata acclamazione» ricordò la damigella d’onore Anne Glenconner. Elisabetta tornò a palazzo con gli occhi che brillavano di sollievo e giubilo. La moglie di un cortigiano di palazzo osservò lo «straordinario impatto che le strade affollate e la gente festante avevano avuto su di lei. La regina disse che non avrebbe mai immaginato che sarebbe andata così, che avrebbe provato una tale sensazione di euforia e di gioia, come se fosse stata trasportata da una grande onda». Una folla ancora maggiore aveva guardato la cerimonia in bianco e nero, accovacciata intorno agli schermi televisivi. Più di ventisette milioni di persone, il doppio della stima della BBC, si erano sintonizzate, avallando l’istinto democratico del principe Filippo. Una volta tornati nella Sala verde di Buckingham Palace, la regina e le sue damigelle d’onore caddero sul divano con un sospiro di gioia e sollievo prima di trotterellare via per assaggiare il pollo dell’incoronazione, un piatto inventato appositamente per quell’evento. Mentre passavano in rassegna la giornata notarono alcuni piccoli intoppi. Elisabetta aveva dimenticato di fare l’inchino a un certo punto, impedendo alle altre damigelle di fare lo stesso. Quando era andata a firmare il testo del giuramento, si era accorta che l’inchiostro era finito. «Finga lo stesso di firmare» le sussurrò all’orecchio il Lord Ciambellano. Anche se la regina aveva ordinato un tappeto con il pelo corto, fu steso nel modo sbagliato e il mantello della regina si impigliò. Fortunatamente l’arcivescovo di Canterbury fu all’altezza della situazione quando la regina sibilò: «Mi faccia iniziare». Il marito, dopo la performance incerta durante le prove, fu impeccabile, si inginocchiò davanti a lei e si impegnò a essere il «guardiano della sua salute e sicurezza». Le baciò la guancia con tale impeto che lei dovette tener ferma la corona. Tornati a palazzo, divenne fin troppo zelante, comandando tutti a bacchetta durante il servizio fotografico. Alla fine un esasperato Cecil Beaton posò la macchina fotografica e disse: «Signore, se vuole scattare lei le fotografie, faccia pure». La regina e la Regina Madre lo guardarono inorridite e il duca, resosi conto di essersi spinto troppo oltre, si fece da parte. Mentre la macchina fotografica scattava e tutti chiacchieravano eccitati degli eventi della giornata, il principe Carlo, che aveva quattro anni, vide la corona di sua madre e si avvicinò di soppiatto. Il bambino riuscì a sollevarla ma una dama di compagnia con la vista acuta riuscì a prenderla prima che il principe o il prezioso gioiello si facessero male. Arriverà anche il suo momento.

© 2022, Mondadori Libri S.p.A., Milano. Traduzione di Chiara Beltrami, Stefano Mogni, Vincenzo Perna.

Questo il testo del discorso radiofonico pronunciato dalla Principessa Elisabetta il 21 aprile 1947 dal Sudafrica nel giorno del compimento del suo ventunesimo anno di età. Elisabetta svolgeva la sua prima visita ufficiale oltremare, accompagnando i suoi genitori in Sudafrica e Rhodesia del Sud. Le sue parole hanno rappresentato per 70 lunghi anni la cifra del suo regno.

«C’è un motto che è stato scelto da molti dei miei antenati, un nobile motto, “Io servo...”. Io dichiaro davanti a voi tutti che la mia intera vita, sia essa lunga o breve, sarà dedicata al vostro servizio e al servizio della nostra grande famiglia imperiale di cui siamo tutti parte, ma non avrò la forza di perseverare da sola in queste decisioni ameno che voi vi uniate a me, cosa che vi invito a fare. So che mi darete senza dubbio il vostro sostegno.

Che il Signore mi aiuti a essere all’altezza della mia promessa solenne e Dio benedica tutti quelli di voi che accetteranno di dividerla con me».

La Regina che arriva dal cielo

IN UNA LONDRA CHE PIANGE IL SUO RE HA INIZIO IL REGNO DELLA GIOVANE ELISABETTA

Treetops Lodge, Aberdare National Park (Kenya). Alba del 6 febbraio 1952.

Sua Altezza Reale, la principessa Elisabetta si sveglia molto presto in vera tradizione safari. Pernotta in un esclusivo lodge con casette di legno costruite sugli alberi. Assiste a un combattimento tra due rinoceronti e poi invitata dal segretario privato di suo marito Filippo, sale su una torre di vedetta pronta per osservare il sorgere del sole. Con le prime luci dell’alba un’aquila solitaria passa tra gli alberi, volando basso sopra le loro teste. In quelle stesse ore, a migliaia di chilometri, in Inghilterra, re Giorgio VI,  passa nel sonno a miglior vita. La principessa diventa regina. Nel libro dei visitatori del Treetops, Jim Corbett, colonnello dell’Esercito britannico, scrive: «Un giorno, per la prima volta nella storia del mondo, una giovane ragazza che si era arrampicata su di un albero da principessa, il giorno dopo scese dall’albero da regina. Che Dio la benedica».

Londra (Inghilterra). Pomeriggio del 7 febbraio 1952.

Dopo ventidue ore di volo, un aereo proveniente dal Kenya atterra all’aeroporto. Il cielo è grigio, l’aria fredda. A bordo Sua Maestà Elisabetta II, regina da un giorno. “Per la prima volta nella storia del Regno, un sovrano arriva dal cielo”, scriveranno domani i giornali. Indossa un abito nero, scende le scalette, il suo primo sguardo è per il primo ministro Winston Churchill e poi tutte le autorità in fila per omaggiarla.

Churchill ha gli occhi pieni di lacrime, si inchina e le stringe la mano. Elisabetta è pallida, visibilmente commossa. Sale su un’auto e dai finestrini osserva in silenzio una Londra in lutto. Bandiere a mezz’asta, teatri e cinema chiusi, le vetrine dei negozi, tra fiocchi neri, espongono le foto del Re. Il duca di Edimburgo, al suo fianco, rimane impassibile con lo sguardo fisso in avanti.

Londra (Inghilterra). Mattino dell’ 8 febbraio 1952.

Di buon ora raggiunge a piedi da Clarence House, la sua residenza londinese, attraverso il giardino, il confinante St. James’s Palace. Qui sarà proclamata regina, proprio nel luogo in cui, si dice, fosse presente Elisabetta I la notte in cui la flotta inglese salpò per combattere l’Invincibile Armata spagnola. Suono delle trombe d’argento, appare Sua Maestà. «Per la morte repentina di mio padre sono chiamata ad assumere i doveri e le responsabilità del trono. Il mio cuore è troppo pesante perché io possa oggi dire a voi altro che questo: lavorerò sempre, come ha fatto mio padre durante il suo regno, per mantenere il governo costituzionale e promuovere il benessere e la prosperità dei miei popoli, così sparsi in ogni parte del mondo. Prego Dio che mi aiuti a svolgere degnamente il difficile compito che mi è stato assegnato in una età così giovane».

L’araldo richiude la pergamena concludendo il suo proclama: «God save the Queen!». Su tutti i tetti, che una leggerissima nevicata aveva imbiancato durante la notte, le bandiere salgono da mezz’asta in cima ai pennoni. La banda delle guardie reali intona l’inno: è il primo suonato per la nuova regina. In ogni capitale del Commonwealth, in ogni città che sia sede di un governatore, in ogni paese, borgo e villaggio quel proclama è letto ad alta voce. A mezzogiorno la sovrana sale su una Rolls-Royce verde, assieme al marito. Destinazione Sandringham, circa 230 chilometri da Londra.

Sandringham (Inghilterra). Tarda sera dell’ 8 febbraio 1952.

«Cara vecchia Sandringham, il luogo che amo di più di qualsiasi altra parte del mondo». Con queste parole, Re Giorgio V, esprimeva il suo amore per la residenza di campagna acquistata nel 1862 dalla Regina Vittoria e da allora ritiro invernale per quattro generazioni della Casa Reale britannica. Questa sera gli abitanti del villaggio, i contadini e i fittavoli di Re Giorgio, sono rimasti volutamente nelle loro case per non disturbare la regina. La vettura entra nel giardino di Sandringham House, Elisabetta esce dall’auto, incontra la madre, la sorella e i bambini, che erano stati accuditi dai nonni. Carlo a tre anni è diventato erede al trono. Aveva saputo solo il pomeriggio prima della scomparsa di suo nonno e per questo non gli era stato permesso di scendere in giardino, per giocare nei prati, come faceva sempre. Elisabetta e la Regina Madre sottobraccio salgono le scale di quella casa così piena di ricordi per raggiungere al secondo piano la camera del Re. Passerà del tempo prima che Elisabetta e sua madre facciano ritorno.

Il Re, «sereno e felice come non l’avevamo mai visto», scriverà il suo biografo, aveva trascorsa il suo ultimo giorno andando a caccia con l’amico Lord Fermoy. Aveva giocato con i suoi due nipotini, Carlo e Anna, e dopo una cena tranquilla si era ritirato nella sua stanza per addormentarsi a mezzanotte circa. Elisabetta conversa con il vecchio domestico, ultima persona ad aver visto suo padre ancora in vita: «Vostra Maestà…come sempre verso le 22 ho portato al Re la solita tazza di cioccolato. Era già a letto intento a leggere una rivista dedicata alla caccia alla volpe. Dopo aver posato il vassoio sul comodino, mi sono allontanato augurando a Sua Maestà la buona notte. Il Re mi ha ringraziato avvertendomi che la mattina seguente desiderava partecipare a una battuta ai piccioni, sempre che il tempo fosse stato buono…». Ma all’alba re Giorgio VI sarebbe morto nel sonno.

La salma del Re viene deposta nella bara, una semplice cassa di quercia trasportata a spalla da sei boscaioli nella cappella della residenza, distante cinquecento metri. Le luci di Sandringham House si spengono. Due inservienti fanno strada reggendo ciascuno una vecchia lampada a olio. L’anziano suonatore di cornamusa, che ogni mattina allietava Re Giorgio mentre consumava il breakfast, suona un lamento scozzese. La funzione dura una ventina di minuti e i reali rientrano a casa. Il sentiero che separa la cappella dall’abitazione attraversa un bosco di pini e un prato di felci, il vento freddo della notte accompagna il loro cammino.

Il regno più lungo della storia britannica. Il 6 febbraio 2022, la Regina Elisabetta II ha raggiunto il suo Giubileo di Platino, 70 anni sul trono del Regno Unito. Il 9 settembre del 2015 aveva superato la sua bisnonna, la Regina Vittoria, il cui regno era durato 63 anni e 216 giorni.

Il più vecchio monarca vivente. Il 21 dicembre 2007 Elisabetta ha superato in età la Regina Vittoria, scomparsa all’età di 81 anni.

Il monarca più anziano della storia. Il 23 gennaio 2015, Sua Maestà il Re Abdullah Bin Abdulaziz Al Saud dell’Arabia Saudita è morto all’età di 90 anni. Elisabetta ha compiuto 96 anni lo scorso 21 aprile.

Il più lungo matrimonio reale della storia britannica. La Regina Elisabetta e il Principe Filippo condividono questo record. La coppia è stata sposata per 73 anni e 139 giorni, dal 20 novembre 1947 sino alla morte del Principe Filippo, il 9 aprile 2021.

Il monarca che ha viaggiato di più nella storia del Regno Unito. Nel corso del suo regno, ha effettuato oltre 250 visite ufficiali all’estero. Nei suoi viaggi ha visitato 116 Paesi, con il Canada come nazione più visitata.

La sua effigie appare sulle monete ufficiali di 35 nazioni diverse. La Regina Vittoria è apparsa sulla moneta di 21 paesi.

Un record che non ha ancora battuto è quello del monarca che ha regnato più a lungo. Re Luigi XIV di Francia ha regnato per 72 anni e 110 giorni. la Regina raggiungerà questo traguardo nel 2024.

“C’è qualcosa dietro il trono

che è più grande dello stesso Re”. 

(William Pitt, I Conte di Chatham)

«La stabilità si basa sulla consapevolezza che in precedenza si è sempre adattata ai cambiamenti. Di fatto rappresenta la continuità che collega la discontinuità della politica partitica. Per quasi trecento anni ci sono stati il governo di Sua Maestà e l’opposizione di Sua Maestà. La politica riguarda il confronto e gli interessi particolari. Il Parlamento istituzionalizza la divisione e il conflitto. La Corona rappresenta l’unità nazionale e istituzionalizza la sua cooperazione e il suo consenso. È comprensibile, in quanto ognuno può capire e identificarsi con una famiglia sul trono. Il Parlamento presenta la vita politica come una guerra; la monarchia come un circolo familiare».

Richard Newbury, saggista e storico britannico, in “Elisabetta II”.

La Regina e la Principessa del popolo

UN MOMENTO DI CRISI PER IL REGNO

Nel tardo pomeriggio di sabato 1º luglio 1961, in un’incantevole zona del Norfolk, a Sandringham, nella magione vittoriana di campagna chiamata Park House, nasce Diana Spencer. È la quarta dei cinque figli del Visconte e della Viscontessa Althorp e appartiene a una delle più antiche e importanti famiglie del Regno Unito, gli Spencer. Carlo, principe di Galles ed erede al trono britannico ha quasi 13 anni e vive a Buckingham Palace. A sedici anni, durante una battuta di caccia, Diana conosce Carlo che frequenta sua sorella maggiore, Lady Sarah. Da subito cominciano a prestarsi quelle attenzioni di cui entrambi avevano avuto sempre bisogno. L’inizio di quella relazione sembra colmare le insicurezze e le debolezze che accompagnano Carlo e Diana. Nel giro di qualche anno è annunciato il fidanzamento e il 29 luglio del 1981, 2.600 invitati e più di un milione di persone per strada, fanno da cornice alla celebrazione del loro matrimonio. Il Royal Wedding è raccontato come  “il matrimonio del secolo” e la cerimonia nella cattedrale di St. Paul, trasmessa in mondovisione, seguita da 750 milioni di telespettatori. Segue una romantica luna di miele a bordo del Britannia in una crociera nel Mediterraneo. Tornati in Inghilterra, l’erede al trono e Lady Diana tengono una conferenza stampa. Sono l’immagine della felicità. Diana parla di un viaggio di nozze favoloso e, invitando le ragazze a sposarsi, confessa: «la vita è meravigliosa». Solo qualche mese dopo, il loro matrimonio è già in crisi.  Lo scrittore inglese Nicholas Davies nel saggio “Lady Diana. La Principessa tradita” ricostruisce così la crisi del loro rapporto:

«I maggiori conflitti nella coppia reale erano causati dalle loro divergenti vedute in materia di doveri: Diana era convinta che per Carlo la famiglia dovesse essere messa davanti a ogni altra cosa, mentre per lui era il dovere verso la Corona e il popolo britannico ad avere la priorità. In quei primi anni di matrimonio, Diana non riuscì mai ad accettarlo. Pensava che dopo la nascita dei bambini, Carlo avrebbe cominciato a capire quanto fosse importante occuparsi di una famiglia, ma sbagliava; e si sentiva ogni giorno più amareggiata e frustrata. Ogni tanto i loro litigi si trasformavano in vere e proprie scenate, fatte di urla e insulti (…) e non c’è da meravigliarsi se Carlo e Diana presero a vivere vite separate».

Il 21 giugno 1982, in un’ala riservata del St Mary’s Hospital, nel quartiere di Paddington a Londra, Diana dà alla luce William Arthur Philip Louis. Per scelta della madre, è il primo erede al trono a nascere in un ospedale pubblico anziché a Palazzo. Due anni dopo, il 15 settembre 1984, mette al mondo Harry Charles Albert David. È il primo ministro britannico John Major ad annunciare, il 9 dicembre 1992, alla Camera dei Comuni che il principe e la principessa di Galles hanno deciso di comune accordo di separarsi. La loro unione, passata alla storia con un “matrimonio da favola”, finita per sempre. La principessa di Galles aveva iniziato una relazione con il suo istruttore di equitazione, il maggiore James Hewitt, e il principe era tornato dalla sua vecchia e devota fiamma, Camilla Parker-Bowles, oggi sua moglie. Trascorsi due anni Carlo concede un’intervista televisiva in cui confessa il suo tradimento con Camilla, precisando però che la relazione aveva avuto inizio solamente nel 1986, quando il matrimonio con Diana era ormai “inevitabilmente naufragato”. Oltre un anno dopo, la BBC trasmette, all’interno del programma d’attualità Panorama, l’intervista di Martin Bashir alla principessa di Galles. Diana rivela la sua relazione con Hewitt. Per Buckingham Palace la misura è colma. La Corte di San Giacomo annuncia pubblicamente che la Regina ha spedito al principe e alla principessa di Galles una lettera in cui pretende il divorzio della coppia, poi ufficializzato il 28 agosto 1996.

Giusto un anno dopo la tragedia. Il 31 agosto del ’97, Diana, insieme al suo ultimo compagno Dodi al–Fayed, rimane vittima di un terribile incidente automobilistico sotto il tunnel del Pont de l’Alma a Parigi. La loro Mercedes guidata dall’autista Henri Paul, che faceva uso di alcolici e psicofarmaci, seguita da un cronista e dei fotografi, si infrange contro un pilastro della galleria de l’Alma. “E’ una vittima della stampa” scriverà il giorno dopo il New York Times. Quella stampa che Diana nella sua ultima intervista a Annick Cojean per Le Monde aveva così accusato:

«La stampa è feroce, non mi perdona alcunché, non registra che l’errore. Ogni intenzione viene deturpata, ogni gesto criticato. Credo che all’estero sia un po’ diverso. Mi si accoglie con gentilezza, mi si prende come sono, senza preconcetti, senza aspettare il passo falso. In Gran Bretagna è l’opposto. E penso che, al mio posto, chiunque sano di mente se ne sarebbe andato da parecchio. Ma io non posso. Ho i miei figli. (…) Nel corso degli anni ho imparato a collocarmi al di sopra delle critiche. Ma l’ironia è che queste mi sono state utili, dandomi una forza che io ero lontana da possedere. Questo non vuol dire che non mi abbiano ferito. Al contrario. Ma questo mi ha dato la forza di perseverare sulla strada che mi ero prefissata».  

La morte improvvisa di Diana Spencer, lascia costernato il popolo britannico e attonita la famiglia reale. L’allora direttore de La Repubblica, Ezio Mauro, apre così il suo editoriale del 1 settembre 1997:

«Lady Diana è morta ieri nelle televisioni di tutto il mondo, commemorata in tutte le lingue, ricordata dai potenti di ogni Paese, compianta dalla gente comune che conosceva ogni cosa di lei attraverso i rotocalchi, dal sorriso triste agli abiti di Versace, gli umori e i furori, il protagonismo e la solitudine. Alla fine di una vita inquieta e totalmente pubblica, una monarchia universale, come una volta toccava in sorte ai re e agli eroi, e oggi soltanto ai divi. Una morte modernissima, dunque, nello schianto di tre giovani vite che ha scioccato l’Inghilterra e il mondo: una morte, quella della principessa, che diventa subito notizia totale, senza confini, e per questa sua forza esemplare, quasi simbolica di tutti i veri e falsi miti della nostra epoca, può aiutarci a riflettere. Forse non sulla realtà che stiamo vivendo. Ma almeno, sulla sua rappresentazione». 

Natalia Aspesi quel giorno sulla prima pagina de La Repubblica:

«La morte orribile e crudele di Diana principessa di Galles pare nella sua fatalità, quella che nei film e nei romanzi viene assegnata ai personaggi romantici per toglierli di mezzo, perché l’autore non sa più come concludere una storia. (…) Sotto la sua bella faccia dal sorriso malinconico, i corti capelli biondi, gli occhi azzurri, lo schermo televisivo rimandava ieri le date della sua breve vita: 1961-1997, così ricca, così povera, così infelice, così luminosa, così sfortunata, così strana, così disordinata, così invidiata, così spezzata».

Il giorno prima su La Stampa Lietta Tornabuoni, firmava l’editoriale “La più famosa e discussa”:

«Tutti erano curiosi di lei, simbolo del conflitto tra libertà e doveri di status. Non tutti la apprezzavano. Si diceva: non è all’altezza del ruolo né del rango, non sa stare al suo posto, pretende d’essere principessa e insieme di fare i suoi comodi, non si preoccupa dei figli né del decoro della famiglia reale inglese, ha troppi amori, è esibizionista come una star o una modella, non ha stile, è una smaniosa maleducata. Ma si diceva pure: è anticonvenzionale, non è lei a mettersi in mostra ma sono i media a darle la caccia, ha saputo porre fine nonostante ogni conseguenza negativa a un matrimonio umiliante con il principe ereditario legato a un’altra donna, non è ipocrita e certo non è lei a poter ledere l’immagine d’una famiglia reale nella cui storia non sono mancati adulteri,  perversioni, assassinii, poligamia, follie. Le opinioni diverse, specchio di mentalità differenti, la sceglievano come oggetto d’un quotidiano confronto di idee meno frivolo di quanto possa apparire, interessante, persino utile».

Carlo è a Balmoral, in quel castello dove Diana aveva posato per i fotografi accanto a lui, come promessa sposa dell’erede al trono del Regno Unito. Ricevuta la terribile notizia rimane al telefono tutta la notte. Poco prima delle cinque del mattino i principini William e Harry apprendono che la loro mamma è morta. «Solo per loro», aveva dichiarato Diana proprio una settimana prima a Le Monde, «solo per amor loro continuo a rimanere in Inghilterra». Dopo qualche ora partecipano con la nonna, la Regina Elisabetta, il loro padre, principe di Galles, il nonno, principe Filippo di Edimburgo e la Regina Madre, alla messa nella piccola chiesetta di Crathie vicina a Balmoral. Terminata la cerimonia, il principe Carlo con le due sorelle di Diana, Lady Sarah McCorquodale e Lady Jane Fellowes, si reca all’aeroporto di Aberdeen e di lì, con l’aereo della Famiglia Reale, a Parigi, a prendere la bara di Diana per riportarla a casa. Sarebbero ripartiti per Londra 90 minuti dopo. La notte del 31 agosto Dodi Al Fayed è invece sepolto nel cimitero di Brooklands, nel Surrey, Sud-Ovest di Londra, dopo una cerimonia religiosa nella principale moschea londinese di Regent’s Park. Dodi Al Fayed aveva alle spalle un padre laboriosissimo, il sessantaquattrenne Mohammed Al Fayed. Possedeva un impero stimato in 4.500 miliardi, con due grandi simboli l’Hotel Rits di Parigi e i magazzini Harrods di Londra e una casa di produzione hollywoodiana, la Allied Star. “Un self-made troppo spregiudicato” per tanti, che procurava imbarazzo ai manager della City e per questo mai accettato dai vip londinesi. Per due volte gli fu negata la cittadinanza britannica e lui reagì denunciando: “ho corrotto diversi deputati conservatori”. Non gli fu mai perdonato il modo con il quale riuscì nell’85 a mettere le mani sulla conglomerata House of Fraser a cui facevano capo Harrods e altri grandi magazzini. L’operazione gli era costata 573 milioni di sterline rappresentando l’ingresso in grande stile della sua famiglia egiziana nella scena finanziaria britannica.  

La tragica scomparsa di colei che dopo qualche mese, secondo la stampa britannica, sarebbe potuta diventare la nuora di Mohammed Al Fayed, oltre che coinvolgere emotivamente e politicamente il governo inglese e il neoeletto Primo Ministro Tony Blair, mette a dura prova il protocollo “di Corte” e sembra travolgere la popolarità stessa della Corona. Elisabetta II, erede della tradizione vittoriana, che aveva subito con sofferenza la separazione di Diana dal principe Carlo e la controversa storia della principessa con Dodi Al Fayed, dopo quell’incidente mortale, pare gestire con imbarazzo quella scomparsa. Mentre una processione interminabile di gente comune deposita mazzi di fiori per Diana davanti ai cancelli di Buckingham Palace e attende in coda, per ore e ore, pur di firmare a St. James Palace i libri di condoglianze, la regina sceglie di vivere quei momenti nel lontano castello scozzese di Balmoral. Elisabetta, incapace di esprimere pubblicamente il proprio cordoglio, rifiuta anche di far esibire la bandiera a mezz’asta sul Palazzo Reale, secondo la tradizione che vuole che la bandiera non sia innalzata se la regina non è presente. In quelle ore viene fuori tutta la difficoltà emotiva di Elisabetta che, per la prima volta nel suo lungo regno, sembra subire la forza di quella tradizione, che finiva per congelarne i comportamenti e i sentimenti. Quei valori monarchici, così veri e imprescindibili per lei, sembrano per la prima volta, per tanti britannici, inadeguati. Quanto accaduto in quel tunnel a Parigi, rappresenta il punto più critico del regno della sovrana di Windsor. La perdita della “Principessa del popolo”, come l’aveva definita Blair, fu cavalcata dalla stampa per sottolineare la lontananza della regina dai suoi sudditi. “Dov’è la regina?”, si chiede con un titolone in prima pagina il Sun. “La tua gente sta soffrendo. Parlaci, regina”, supplica il Mirror, mentre l’Express sollecita la sovrana a mostrare più partecipazione. Il Mail, da sempre baluardo della monarchia e dell’Impero, la invita a mettere perlomeno la bandiera a mezz’asta. Anche la BBC fa parte del coro. Paul Reynolds, il corrispondente storico della televisione pubblica da Buckingham Palace, ammonisce che i vecchi comportamenti protocollari non sono sempre necessariamente i migliori: «Credo che ci si debbano porre molti interrogativi sul futuro della monarchia e sul suo stile», sono le sue parole durante il telegiornale. Jon Snow, uno dei volti più noti del giornalismo televisivo, dichiara su “Channel Four” agli occhi dell’opinione pubblica «i Windsor sembrano estranei al dolore e all’affetto» che Londra sente per la principessa. Per Elisabetta sono momenti profondamente difficili e faticosi, ma riesce a superarli con eleganza. Buckingham Palace comunica che la Regina sarebbe rientrata a Londra, avrebbe presenziato ai funerali che sarebbero stati pubblici, come Blair aveva più volte consigliato, ma non di Stato e che la bandiera reale, nonostante la tradizione, sarebbe sventolata a mezz’asta sul pennone più alto di Buckingham Palace. Si chiarisce che il funerale di Stato, massima onorificenza funebre prevista nel Regno Unito, è appannaggio solo dei sovrani, degli eredi al trono e degli “eroi nazionali”. Elisabetta II aveva optato per quello che il protocollo chiama “funerale reale cerimoniale”, di norma riservato ai membri della Famiglia Reale, da cui Diana era stata formalmente estromessa dopo il divorzio da Carlo, facendole perdere l’appellativo di “Altezza Reale”. Anche Lord Robert Norman William Blake, Baron Blake, storico costituzionalista inglese, suggerisce alla sovrana di parlare alla tv alla sua gente. E così fu. Queste le sue parole in diretta televisiva il 5 settembre 1997, alla vigilia dei funerali della principessa:

«Dalla terribile notizia di domenica scorsa abbiamo assistito in Gran Bretagna e in tutto il mondo alla travolgente espressione di tristezza per la morte di Diana. Tutti noi abbiamo cercato, nei nostri differenti modi, di affrontare la vicenda. Non è facile esprimere il significato di una perdita, dato che la prima sensazione di shock è spesso seguita da un misto di sensazioni differenti: incredulità, incomprensione, ira e preoccupazione per coloro che restano. Noi tutti abbiamo provato queste emozioni in questi ultimi giorni, quindi ciò che vi dico ora, in quanto vostra regina e in quanto nonna, lo dico dal profondo del mio cuore. Prima di tutto voglio rendere io stessa omaggio a Diana. Era un essere umano eccezionale e piena di doti. Nei momenti belli e in quelli brutti non ha mai perso la capacità di sorridere o di ispirare gli altri con il suo calore e la sua gentilezza. Io l’ammiravo e la rispettavo per la sua energia e il suo impegno verso gli altri e – specialmente – per la devozione verso i suoi due ragazzi. Questa settimana a Balmoral abbiamo cercato di aiutare William e Harry ad affrontare la devastante perdita che essi, come tutti noi, hanno subito. Chiunque abbia conosciuto Diana non potrà dimenticarla. I milioni che non l’hanno conosciuta ma che pensavano di conoscerla la ricorderanno. Io, per parte mia, credo che ci sia una lezione da trarre dalla sua vita e dalle straordinarie e commoventi reazioni alla sua morte. Questa è anche un’occasione per me, in rappresentanza della mia famiglia – specialmente del principe Carlo, di William e Harry – per ringraziare tutti voi che avete portato fiori, mandato messaggi e reso omaggio in tanti modi a una persona notevole. Questi atti di cortesia sono stati un’enorme fonte di aiuto e di forza. Il mio pensiero va anche alla famiglia di Diana e alle famiglie di coloro  che sono morti con lei. So che anche loro hanno tratto forza da ciò che è successo dallo scorso fine settimana, mentre cercano sollievo al loro dolore e di affrontare il futuro senza i loro cari. Spero che domani tutti noi, dovunque ci troviamo, possiamo unirci per esprimere il dolore per la perdita di Diana e la gratitudine per la sua troppo breve vita. È una occasione per mostrare a tutto il mondo la nazione britannica unita nel dolore e nel rispetto. Possano coloro che sono morti riposare in pace che ciascuno di noi possa ringraziare Dio per una donna che ha reso molte, molte persone felici».                                                       

Nell’abbazia di Westminster, il 6 settembre del 1997, sono celebrate le esequie della principessa. Seguiti in tv da oltre due miliardi di persone, i funerali di “Lady Di” sono uno degli eventi televisivi più visti della storia. Tre milioni di persone per le strade di Londra, con le tv di tutto il mondo a dar voce a quella gente: “Era una santa, non solo una principessa”, “Era una stella, diventerà un angelo”, “Ho il cuore spezzato, davvero”, “Ho pianto tutta la notte”, “Dal paradiso, sono sicura, ci sta guardando”, “Vorrei che i suoi figli crescessero come lei, ai miei insegnerò la sua vita”, “Mi manca…”, “Dopo tutto il bene che ha fatto, la morte l’ha rapita”. Tra i 1.900 invitati una navata dell’abbazia piena di star: dall’ex re di Grecia Costantino, alla regina Noor di Giordania, dalla sorella del re di Spagna alla principessa Margherita d’Olanda a Henry Kissinger. Un posto speciale riservato a Mohammed Al Fayed, il padre di Dodi, e alla moglie. Nutrito il gruppo delle star di Hollywood: Tom Cruise con Nicole Kidman, Tom Hanks con la consorte, i registi Steven Spielberg e Richard Attenborough, e poi Luciano Pavarotti. Uno dei momenti più commoventi della funzione è quando Elton John intona Candle in the Wind, una versione, modificata per l’occasione, della celebre canzone dedicata a Marilyn Monroe dopo la sua morte. Le prime lacrime solcano le guance dell’elegante quindicenne principe William e quelle di suo fratello Harry.

Addio, rosa d’Inghilterra, possa tu crescere sempre nei nostri cuori.

Eri la grazia che si posava dove le vite erano straziate.

Esortavi il nostro paese e sussurravi agli afflitti.

Ora appartieni al cielo e le stelle pronunciano il tuo nome.

E mi sembra che tu abbia vissuto la tua vita come una candela nel vento

mai evanescente nel tramonto quando scendeva la pioggia.

E i tuoi passi si poseranno sempre qui, sulle più verdi colline d’Inghilterra.

La tua candela si è spenta molto prima di quanto mai farà la tua leggenda.

«Questa è la morte più tragica e senza senso che io abbia mai visto», sono le parole della rock star. “Il mondo ha perso una delle persone più affettuose, affidabili e umanitarie, ed io ho perso una amica molto speciale”. Diana giace oggi ad Althorp, in Northamptonshire, fra gli alberi, su un’isoletta chiamata Round Oval, nel mezzo di un laghetto. Nella cripta di famiglia, nella chiesetta di St. Mary the Virgin, le riposa accanto suo padre.

L’evento: The Queen’s Platinum Jubilee 2022

Libro: Platinum Jubilee The Queen: 70 Glorious Years Official Souvenir Album, 2022 Royal Collection Trust.

Film: The Queen, Diretto da Stephen Frears, con Helen Mirren e Michael Sheen, candidato nel 2007 a sei premi Oscar. Si è aggiudicato l’Oscar per la miglior attrice protagonista, vinto da Helen Mirren.

Documentario: Elizabeth: A Portrait in Parts, Regia di Roger Michell, Regno Unito 2022

DVD: A Queen is crowned, The official record of the Coronation, narrated by Sir Laurence Olivier, in technicolor.

CD: Music for Royal Occasions, A collection of the well-known music composed for Kings, Queens and State Occasions, Historic Royal Palace, 2005.

Luogo: Buckingham Palace, Sede della monarchia britannica, è una residenza reale unica al mondo ed uno dei pochi palazzi reali ancora operativi, con interni sfarzosi, in cui la Regina riceve, conferisce riconoscimenti e intrattiene gli ospiti provenienti da tutto il mondo. Le magnifiche State Rooms sono aperte ai visitatori per 10 settimane ogni estate (22 luglio – 2 ottobre 2022). London SW1A 1AA, Regno Unito. Telefono +44 303 123 7300.

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