Jackie di Pablo Larraín, con Natalie Portman - Taxidrivers.it

2021-11-22 15:34:41 By : Ms. Iris Yuantian

“Jackie” è un film biografico del 2016 diretto da Pablo Larraín, incentrato sulla First lady Jacqueline Bouvier, interpretata da Natalie Portman. Il film, presentato in concorso alla 73. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura e ha ricevuto tre nomination all'Oscar nella categoria Migliore colonna sonora, Migliori costumi e Migliore attrice protagonista a Natalie Portman. Ritratto di una donna iconica e misteriosa, Jackie conta sulla direzione della fotografia di Stéphane Fontaine, sui set di Jean Rabasse, sui costumi di Madeline Fontaine, sulla musica di Mica Levi e sulla produzione esecutiva di Darren Aronofsky (tra gli altri). Con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup, John Hurt.

Sinossi Il film segue le vicende di Jacqueline Bouvier quando era first lady alla Casa Bianca, attraverso una famosa intervista, raccontata al giornalista Theodore H. White della rivista Life, una settimana dopo l'omicidio del marito, il presidente John F. Kennedy. , avvenuta nel 1963 a Dallas, in Texas.

La recensione dei tassisti 

La macchina da presa di Pablo Larraín insegue da dietro, con un carrello lento e incisivo, la figura di Jackie/Portman che si aggira sconvolta, al punto da non avere più parole per pronunciare, tra le stanze spoglie della Casa Bianca, l'abitazione in cui ha vissuto con il marito/presidente. La sede per eccellenza del potere, attraverso l'occhio del regista cileno, è incredibilmente trasfigurata, dove, invece di rappresentare la stanza dei bottoni il cui accesso è negato agli sguardi "profani", assume una connotazione completamente diversa, diventando, prima di tutto, lo spazio dell'incontro tra due soggetti 'fedeli' all'amore che li aveva legati. E poi l'assenza di John Kennedy, l'uomo-marito-padre, diventa ingombrante come un macigno; la sua figura, seppur costantemente fuori campo, si materializza in ogni inquadratura, come se il profilo fosse stato elaborato proprio per fare spazio a una presenza spettrale che chiede disperatamente di non essere fagocitata dall'oblio.

La bella messa in scena di Larraín spinge lo spettatore a riflettere sul rapporto tra Storia e Vita, su come questi due termini così antitetici possano entrare in un fecondo rapporto dialettico che dia forma a un nuovo ordine simbolico, all'interno del quale innescare i processi di soggettivazione del domani. Questa, a parere di chi scrive, è la questione centrale dell'ultimo film del geniale autore, il quale, a nostro avviso, non si sarebbe assunto il compito di fare un film biografico se non fosse stato ispirato da un'ambizione più alta, che ha davvero stimolato lui.

Lo sguardo di Jackie: Larraín entra ed esce dai suoi occhi, con un movimento che oscilla freneticamente tra il soggettivo e l'oggettivo, cortocircuitando così la rappresentazione; è come se si assistesse a un continuo passaggio (o concomitanza) tra un gesto che trasfigura e un altro che, allo stesso tempo, simbolizza. Una staffetta implacabile tra Storia e Vita, in cui, in un certo senso, alla fine, la dialettica viene soppiantata da un piano di immanenza dove si 'srotola' magnificamente una 'gioiosa' indiscernibilità: dove (quando) finisce la Vita e dove (quando) inizia la storia? Siamo di fronte all'originaria scissione del tempo, in termini cronologici e non (kronos e aion), e l'occhio di Larraín insiste nel guardare nel punto esatto in cui la fluidità del tempo si irrigidisce nella compattezza di un cristallo. Ancora una volta, dunque, dopo lo straordinario Neruda, il regista produce un gesto titanico che mentre dà corpo all'immagine costituisce al tempo stesso un discorso su di essa, producendo una sorta di saggio visivo che necessita della più viva attenzione, pena la perdita di tutta la sua ricchezza teorica ed estetica.

Seguendo i suggerimenti del Tarkovskij più ispirato, quello, per così dire, che ha cercato con il cinema di 'scolpire il tempo' (cosa che hanno fatto anche altri grandi, Orson Welles su tutti, con Citizen Kane), Larraín si dimostra costantemente commosso nell'intento di raggiungere il cuore di alcune urgenti questioni estetiche, in particolare con riferimento al problema della rappresentazione e del suo superamento, operazione che può essere compiuta solo se si possiede una batteria concettuale attraverso la quale scardinare le categorie che impongono la tirannia dell'intenzionalità (che vorrebbe riportare tutto nello spettro visibile). Infatti, ci sembra giustamente far notare Larraín, non si può rilanciare ad libitum, come fa tanto cinema contemporaneo, tentando di alzare volgarmente l'asticella del visibile, è semmai il contrario, cioè fare il visibile affonda nell'invisibile, trasfigurando e riformando l'ordine simbolico.

Insomma, un altro capolavoro, questo Jackie, che sarebbe un peccato mortale perdersi. Natalie Portman, poi, è così brava che, a volte, è anche irritante (perdonate la battuta): la sua dizione lenta, la testarda monotonia dell'etimo, che riproduce quella della moglie del presidente, è davvero un attacco al linguaggio, alla cui fa emergere l'inconsistenza, dove non di rado il significato delle parole sembra quasi diminuire, trascinato via da una piattezza timbrica che sfida inesorabilmente il primato del significato, a favore dell'emergere del significante. Difficile quindi frenare l'entusiasmo per l'ennesima ottima prova del regista cileno.

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